Hume e gli esiti scettici dell'empirismo


Lo scozzese David Hume, muovendo dalla prospettiva empirista, afferma che tutta la nostra conoscenza si basa su impressioni, che il nostro intelletto unisce in configurazioni più ampie e complesse in virtù della memoria e dell'immaginazione.
Quest'ultima non è totalmente libera, in quanto procede secondo il principio di associazione che agisce sulla base di tre criteri: somiglianza, contiguità e causalità. La nostra mente è portata da questa "dolce forza" ad associare le idee che si presentano simili, contigue o legate ad un nesso causa-effetto.

Le idee che ne derivano sono idee complesse e in esse consiste tutto il nostro sapere. Quanto al grado di certezza di un sapere cosi costruito, Hume ritiene che, mentre nel caso dell'algebra e della matematica si raggiungono verità assolute certe, per quanto riguarda le conoscenze empiriche dobbiamo ritenerle soltanto probabili.
A partire da tali argomentazioni Hume procede a criticare il concetto di causa. Secondo lui la causalità non ha un valore oggettivo, ma è frutto della nostra abitudine a collegare un fenomeno A a un fenomeno B.

In realtà l'esperienza attesta soltanto la contiguità e successione di tali eventi, non la necessità del loro legame casuale. Quest'ultimo è dunque da attribuire ad un attitudine soggettiva e non può essere generalizzato o esteso al futuro. dall'abitudine deriva poi la credenza, cioè la tendenza a considerare esistenti determinate realtà, ad esempio quella del mondo esterno e dell'io. 
Anche per l'idea di sostanza si può osservare quanto rilevato a proposito dell'idea di causa: essa è arbitraria e priva di valore assoluto pervie risiede nell'inclinazione del soggetto a unificare le varie impressioni che si presentano regolarmente connesse nell'esperienza, riferendole ad un ipotetico fondamento sostanziale. 

Per ciò che riguarda la dimensione etica, Hume è convinto che non esistano valori assoluti cui fare riferimento e che la morale debba poggiare sul criterio empirico dell'utilità sociale. infatti, come stabilisce la cosiddetta "legge di Hume", non è possibile dedurre il piano del dover essere, cioè delle prescrizioni, da quello dell'essere, cioè dal piano descrittivo dell'esperienza contingente, in cui si può valutare l'utilità di determinati comportamenti. Ciò non implica una dissoluzione della morale, in quanto Hume ammette l'esistenza di un "senso morale" comune a tutti gli uomini che garantisce la possibilità di individuare principi etici condivisibili.

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