Kant e la critica della ragion pratica

Secondo il filosofo, che affronta il problema nella “critica della ragion pratica”, il criterio dell’azione risiede nell’uomo e, in particolare, in una legge morale iscritta nel suo animo quale fatto della ragione incondizionato è universale, che s’impone come un dovere. Distinguendo tra imperativi ipotetici e imperativi categorici, Kant sostiene che la morale che si fonda solo e unicamente su questi ultimi.


L’etica kantiana, pertanto, si configura come un’etica formale, in quanto non prescrive comportamenti particolari, bensì solo la forma delle azioni morali che per essere tali devono corrispondere al principio di universalizzazione, secondo il quale un’azione si può definire morale se possiamo volere che essa divenga una norma del comportamento di tutti gli uomini. Kant e poi ampia tale principio attraverso le celebri formulazioni dell’imperativo categorico: Nel primo dice di agire soltanto secondo quella massima che al tempo stesso puoi volere che divenga una legge universale, nella seconda dice di agire in modo da trattare l’umanità sia nella tua persona sia in quella di ogni altro sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo, nel terzo dice di agire in modo tale che la volontà in base alla massima possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatore dice.


Una conseguenza importante della fondazione della morale sull’arancione e il fatto che perfino la religione mi risulta condizionata. Le principali credenze religiose, infatti, cioè l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, coincidono in definitiva con i postulati  della ragion pratica, che inseriscono alla morale come condizioni della sua stessa esistenza e pensabilità. Si deve infatti ammettere un dio, intelligente e ogni potente, grazie a cui si può pensare che il sommo bene ricercato nella vita morale e dato all’unione di felicità e virtù sia realizzabile; allo stesso modo, dal momento che il sommo bene non è conseguibile entro i limiti della vita terrena, occorre postulare una vita dopo la morte in cui sia possibile progredire verso di esso. Dio e l’anima non sono oggetto di dimostrazione, ma rappresentano una ragionevole speranza per l’uomo. In ciò consiste il primato della ragion pratica rispetto alla ragion pura: sul piano pratico la ragione ammette proposizioni che sarebbero in ammissibili dal punto di vista teorico.


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